Corso Barman Certificato. Da Chi? Facciamo Chiarezza

Cosa significa corso barman certificato? E quello accreditato? La funzione dell’ISO-9001 e tutte le pubblicità poco meritevoli spiegate in un’intervista con tre esperti e i loro consigli su come scegliere la scuola migliore

di Gaetano Massimo Macrì

Quando avete acquistato un hamburger al McDonald’s, vi sarà capitato di notare la differenza tra il prodotto reale e quello della foto. Non c’è corrispondenza, lo diciamo senza offendere nessuno. Bello, anche troppo, quello della foto rispetto a quello che poi di fatto mangiate. Parafrasando un noto detto: è la pubblicità, bellezza. Con lo stesso principio, per cui l’estetica sembra prevalere sull’etica, si presentano ultimamente agli occhi ignoranti di coloro che cercano su internet una scuola di bartending, corsi ‘riconosciuti’, ‘certificati’ e chi più ne ha più ne metta. Non significa che le scuole che si vendono in quel modo intendano fare pubblicità ingannevole, sia chiaro. Tuttavia è vero, verissimo, che un corso ben fatto è tale non perché sia riconosciuto da chissà quale entità. C’è qualcosa che non quadra, allora, nel settore. Ecco perché abbiamo voluto fare un po’ di chiarezza in merito. Perché di mezzo qui non c’è un semplice panino, ma la formazione, ovvero tempo (e denaro) che un alunno ha deciso di spendere come investimento per il suo futuro ed è giusto che sappia come stanno realmente le cose, prima di fare il passo più lungo della gamba. Intanto, a scanso di equivoci, diciamolo subito: i corsi di bartending sono corsi privati, dire che siano riconosciuti non ha un valore ‘legalmente riconosciuto’.

Chi ve li spaccia come tali, questo concetto lo conosce e lo usa – lecitamente – per farsi pubblicità. La domanda che uno potrebbe farsi adesso è: ma perché ci sono scuole che, pur potendo ottenere il titolo di enti certificati, riconosciuti, bla, bla, bla… e ricavarne in questo modo ulteriore ‘pregio’ e pubblicità, non lo fanno? La risposta l’abbiamo tirata fuori direttamente da tre personaggi del settore, il grande Giorgio Fadda, ex presidente Aibes e decano del Bar, Federico Mastellari di Drink Factory e Francesco “Ciù Ciù” Spenuso, di Flair Project.

Pensate che c’è stato un tempo in cui proprio Spenuso e Mastellari si erano ritrovati a parlare di queste tematiche, insieme ad alcuni dei principali stakeholder del settore. Più precisamente, l’argomento era lo standard delle scuole di formazione. La discussione finì lì, quasi subito, quel giorno. Saggiamente, concordarono tutti sulle difficoltà di creare uno standard. “La vedo dura, già semplicemente per un discorso di concorrenza – dice Mastellari -. Se ci riuscissimo, livelleremmo i soggetti, quando magari c’è una struttura che ha investito migliaia di euro e non desidera che al fianco ci sia qualcuno, arrivato dopo, che abbia il suo stesso standard, senza quell’investimento.

E poi chi accede allo standard? Chi lo controlla? Ci vorrebbe un bagno di umiltà infinito per trovarlo”. Eccola l’espressione magica, “bagno di umiltà”, con cui è perfettamente d’accordo Fadda: “La nascita di una miriade di scuole ha creato confusione, ognuno si sente autorizzato a far corsi. Diciamo che hanno capito il business”. Eppure c’è stato un tempo in cui non era così e c’era un rispetto tale che valeva una ‘certificazione’. “In passato, dico la verità – spiega Fadda – gli attestati Aibes erano ‘accettati’… ma perché eravamo gli unici. E c’era anche qualche regione che li accettava per il rilascio delle licenze di esercizio”. Sulla questione punti per acquisire la licenza Spenuso è categorico: “Cerchiamo di capirci, tutti noi valiamo 10 punti per la licenza di somministrazione, ma questo non significa che ‘con il nostro attestato apri un bar’, tipo le televendite di Vanna Marchi”. Una cosa è certa: chi è bene addentrato nel settore non vende false notizie. E allora proviamo a chiarire questa storia dei corsi certificati.

Veniamo alla terminologia: ‘certificato’. Che significa?

corso barman riconosciuto
Federico Mastellari

Federico Mastellari – “Sappiamo bene che questa è una attività libera e chiunque può fare questo lavoro senza corsi. Chi usa quella terminologia crea un’aspettativa falsa e rischia di essere ingannevole”.

Giorgio Fadda – “Il corso non può essere certificato. C’è stato un tempo in cui si sarebbe potuto definire ‘riconosciuto’, come nel caso dell’Aibes, ma specifichiamo: in quel caso significava riconosciuto dalle altre associazioni ‘consorelle’ dell’Aibes, niente di più”.

Francesco Spenuso – “Chi certifica chi? Che cosa? Pago per quale motivo? Per avere una certificazione che non serve al nostro mondo? Potremmo… ma non serve. Punto. Non vendiamo caldaie, ma formiamo futuri bartenders”.

Rimaniamo in tema ‘certificazione’. Cosa pensate dell’ISO-9001?

Giorgio Fadda –“Una scuola di bartending è in grado di avere una certificazione, tuttavia bisognerebbe chiedersi che cosa mi certifica. Che ha le conoscenze, dispone di programmi e di formatori. E tutto questo non si traduce in automatico nel rilasciare certificazioni agli alunni. E’ la scuola in pratica ad essere certificata ISO, ma non può a sua volta rilasciare certificazioni. Vi faccio un altro tipo di esempio di ‘certificazione’, volando lontano, negli Usa. In quel Paese una certificazione è il TIPS (Training for Intervention Procedures). Ad esso è subordinata l’assunzione: bisogna entrarne in possesso per poter lavorare. Però attenzione, il TIPS lo può avere un body security, non solo un barman. Certifica che chi ne sia in possesso sappia intervenire in sicurezza, nel caso di un cliente ubriaco, per esempio”.

Federico Mastellari – “Allora, l’ISO riguarda la struttura. Mi ero informato in passato, ho anche sentito un consulente e ho appreso che con 3 mila euro mi avrebbero dato la certificazione. E va bene, ma alla fine cosa vuol dire? Ha senso se sono una azienda meccanica che produce determinate parti. Se, invece, sono una azienda che produce servizi, come una scuola di bartending, non ne vedo il senso. Io esorto sempre a lavorare bene, seguendo l’eccellenza, perché è questo che poi alla lunga ti fa distinguere dagli altri. Ricerca e onestà…”.

Francesco Spenuso – “ISO 9001? Stai continuando a pensare alle caldaie? A parte gli scherzi, come Federico Mastellari, mi ero informato sia sull’ISO sia sulla regione Lazio: paghi e ricevi.  Ma attenzione, la nostra professione, allo stato attuale, non è un’attività con un suo albo, quindi qui le chiacchere stanno a zero. Dico: magari ci fosse un ente unico di fronte a cui metterci tutti alla prova per certificare qualcosa, sarebbe un sogno; ma non è così, e va a vantaggio di chi vende il falso. Perché a quel punto con un certificato ‘vero’ emergerebbe chi merita, e non chi paga. Ma visto che non esiste tutto questo, noi studiamo, ci aggiorniamo, ricerchiamo, ci confrontiamo, organizziamo e partecipiamo agli eventi del settore. Ecco quello che possiamo offrire, il nostro curriculum vitae, la nostra esperienza.  Vorrei farla io una domanda a questo punto a coloro che devono scegliere un corso: se una scuola è certificata ISO9001 o possiede qualsiasi altra certificazione (che certifica la struttura e non il corso), ma i corsi li tengono i ragazzi di 20 anni che hanno visto il banco bar 3 volte nella loro vita, su cosa riflettete? Sul timbro che non vale nulla o sull’esperienza di chi vi forma?”.

Posto che nessuna scuola possa correttamente vantarsi di corsi ‘certificati’ e riconosciuti, come si fa a distinguere la qualità dell’offerta?

Corso barman certificato
Giorgio Fadda

Francesco Spenuso – “Difficile, ma il consiglio è: chiedi in giro, vai nella struttura, non farti abbindolare da certificazioni false e da metodi inventati. Chiedi chi insegna, chiedi il suo CV, chiedi anche il CV della struttura, da quanti anni operano. Vai nei locali e chiedi ai bartenders dove hanno studiato. Cerca bene su Google. Non fermarti agli annunci a pagamento, non andare di fretta, valuta bene perché c’è in ballo il tuo futuro. Come fanno a scrivere la migliore scuola del mondo se sono nati da pochi anni? Come si fa a scrivere ‘l’unica scuola riconosciuta’ quando non è vero? Da queste frasi io personalmente estraggo già troppa convinzione e poca umiltà. Quindi è bene chiedere spiegazioni e cercare un riscontro prima di decidere. Noi di Flair Project non abbiamo bisogno di dire che siamo i migliori, anche perché non spetta a noi dirlo, non credete?”.

Giorgio Fadda – “E’ sempre difficile dare consigli in questi casi. In Aibes prima di diventare formatore, si intraprendeva una lunga gavetta (3 o 4 anni come assistente alla formazione), si veniva inviati sul posto, in Francia per studiare il cognac, in Scozia per il whisky… In quel modo il futuro formatore si costruiva una certa credibilità”.

Federico Mastellari – “Concordo: argomento difficilissimo. Chi si affaccia a questo mondo per la prima volta, affascinato dal mestiere del barman, è ignorante in materia, non conosce i soggetti che vanno a erogare questi servizi. Il consiglio mio è di andare direttamente nelle strutture e osservare coi propri occhi per capire chi si ha davanti. Parlare con i formatori, capire quanta esperienza hanno, da quanto tempo esiste la scuola e trarre le conclusioni”.

Giorgio Fadda – “Ecco, per esempio, chi oggi ha dato una svolta nel campo della formazione sicuramente sono stati i ragazzi del Jerry, la stessa scuola di ‘Ciù Ciù’, quella di Mastellari… sono sicuramente esempi di scuole serie. E non vorrei sembrar di parte nominando l’Aibes, anche se ormai ne sono fuori. Il punto è comunque quello di scegliere le più affermate, perché se lo sono, non sarà un caso”.

Federico Mastellari – “C’è poi l’immagine della scuola che gioca un ruolo importante, insieme al passaparola. Anzi oggi l’immagine ha una forza maggiore del prodotto che tu vendi. Se hai un bel sito, bei video, hai fatto una parte importante. Certo, alla fine è sempre il mercato che decide. Se la realtà funziona e la gente parla bene di te, vuol dire che stai facendo bene il tuo lavoro”.

Il fenomeno che va sotto il nome abusato di “mixology” ha fatto proseliti, ma ha inquinato anche la formazione…

corso barman roma
Francesco Spenuso

Francesco Spenuso – “Lavorando anche con Jack Daniel’s giro molto per tutta Italia e spesso la domanda che faccio ai ragazzi è: ‘cosa significa la parola mixology? C’è tanta confusione. Il problema è sempre lo stesso, ovvero che i ragazzi spendono un sacco di soldi frequentando corsi che giocano molto sulle tendenze ma sono privi di contenuti. Si ripropongono cocktail del passato con bicchieri presi dalla credenza della nonna, senza avere la minima conoscenza merceologica dei prodotti che si vanno a miscelare. L’abuso della tecnica Throwing, ma se provi a chiedere a cosa serve questa tecnica, la maggior parte delle risposte è: ‘ci si fa il Bloody Mary ma va bene anche per l’Americano’. E la cosa assurda è che queste sono le risposte che vengono date ai ragazzi dai cosiddetti trainer delle varie scuole che si fanno chiamare ‘accademie’, Academy, ecc.. e chiedo scusa alla parola Accademia. Viva lo studio, viva il sapere, ma chi fa questo mestiere da anni conosceva già cocktail vintage, tools e tecniche”.

Giorgio Fadda – “Ho sentito di alcuni che fanno corsi coi finanziamenti. A parte questo, c’è sicuramente molta ‘aria fritta’ in giro, gente che però fa proseliti in modo sbagliato. Ci sono ragazzi convinti che la mixology sia tutto e trascurano altri aspetti fondamentali di questo mestiere, come il costo del lavoro. Ho visto gente impiegare 15 minuti per fare un drink… ma come spereranno mai di trovarlo un lavoro questi, mi chiedo?”.

Federico Mastellari – “Noi professionisti conosciamo sicuramente i soggetti che fanno i corsi giusti. A chi mi ha sempre chiesto un consiglio ho risposto: vai, guarda coi tuoi occhi e fatti la tua idea. Non parlerò mai male di un altro. C’è però un problema non di poco conto, se vogliamo sottolinearlo, che è quello del formatore. Con questo mi vorrei riallacciare un attimo al discorso che faceva prima Giorgio”.

Fadda spiegava l’importanza di un percorso di formazione serio. Ovvero il punto è: come avviene la formazione del formatore?

Federico Mastellari – “Esattamente. Giorgio spiegava come avveniva in Aibes, io ovviamente parlo sulla base della mia esperienza. I ragazzi che hanno lavorato con me hanno sempre fatto un periodo di tirocinio ben strutturato. Il che non si traduce nel ‘vieni a vedere un corso e poi sei pronto’. Detto questo io credo che il formatore sia una persona che debba avere delle doti precise. Deve avere un minimo di cultura, deve sapersi mettere in discussione. Deve cioè essere in grado di interrogarsi e chiedersi se quello che sta facendo è giusto, se va bene, se sta sbagliando… E non è da tutti farlo. Per questo credo che vent’anni come barman non siano sufficienti per essere un formatore, ma vale anche il contrario. In sintesi, per come la vedo io, quello del formatore è un lavoro a tempo pieno e a parte rare eccezioni, non è per me conciliabile con l’attività del barman”.

Francesco Spenuso – “La formazione è esattamente l’opposto del fare il bartender. Ci vogliono delle caratteristiche ben precise, e soprattutto – perdonatemi il gioco di parole –  per chi forma la formazione non finisce mai. Ecco perché puoi avere un timbro ISO, il timbro delle mille federazioni di baristi, le sigle delle associazioni di barman europee, che ripeto non hanno alcun valore, ma se chi forma non fa aggiornamenti continui e non sbatte la testa sui libri è un ex barman. È un mondo in continua evoluzione dove bisogna stare sempre sul pezzo. A me piacerebbe fare tante domande a certi formatori ventenni o a guru da social che si vendono bene ma divulgano male. Con noi si fa affiancamento per almeno un anno, abbiamo una nostra didattica ben strutturata e continuamente aggiornata dal 1999. Chiudo sperando che passi questo momento buio per la formazione: si cerca il timbro, il riconoscimento senza preoccuparsi minimamente del futuro dei ragazzi che pagano e sognano”.

L’argomento, come si capisce, è serio e va affrontato con onestà intellettuale. La morale della favola è che non contano i ‘nomi’, le onorificenze, i timbri lasciati su carta, ma la storia, quella sì davvero certificata, che ogni singola struttura si è costruita nel tempo. Vale più il curriculum di un formatore che un foglio di carta da incorniciare e appendere al muro.

Se vuoi saperne di più sulle certificazioni ISO e gli accreditamenti regionali, continua a leggere lo speciale qui sotto.

Quando i corsi sono accreditati dalla Regione. Ecco un altro punto oscuro:

Non ci sono solo i corsi certificati con l’ISO-9001. Merita la giusta attenzione anche il cosiddetto corso “accreditato”. Si tratta di un argomento al quanto spinoso che presuppone una certa dimestichezza con leggi, norme, codici e interpretazioni degli stessi. Noioso, ma necessario per capire come stanno le cose. Piccola premessa: gli enti di formazione (come le scuole di bartending) possono accreditarsi presso una regione. Questo significa che possono erogare un servizio, svolgere i famosi corsi regionali gratuiti (per chi si iscrive) che verranno poi rimborsati alla scuola dalla regione stessa. Sul sito della Regione Lazio, per esempio, è spiegato in modo chiaro: “L’accreditamento è requisito imprescindibile per ottenere l’erogazione dei fondi pubblici”. Quali sarebbero questi fondi? Si tratta di quelle risorse ai sensi del Titolo V della legge regionale 23/92. E si precisa che in tal caso l’unica dicitura consentita è: “Corsi di formazione professionale autorizzati dalla Regione Lazio”. E allora, quando un ragazzo legge su un sito che la tal scuola di bartending è accreditata presso una regione, quale valutazione deve compiere? Ripetiamo quanto detto finora: l’accreditamento non è un segno distintivo della qualità di un corso.

La scuola accreditata non è, per ciò stesso, necessariamente migliore di quella non accreditata. Per completezza riportiamo la spiegazione di ‘accreditamento’ fornita sempre dal sito della Regione Lazio: “L’accreditamento è l’atto con cui la Regione Lazio riconosce l’idoneità di soggetti pubblici e privati, con sedi operative presenti sul territorio regionale e in possesso dei requisiti definiti dalle normative vigenti, per realizzare interventi di formazione professionale e/o di orientamento finanziati con risorse pubbliche nel rispetto della programmazione regionale”. Non sembra sia necessario aggiungere altre parole in merito. Obietterà qualcuno che forse facendo un corso “accreditato”, potrà godere di un pezzo di carta dotato di un qualche valore. Non è esattamente così. L’amico Federico Mastellari ci ha fornito un ulteriore e interessante spunto di riflessione in tal senso. Questi enti accreditati possono sì rilasciare un “attestato di competenza”. Prendiamo il caso della Lombardia, perché è davvero illuminante.

Evidentemente, dopo aver notato un certo “abuso” della dicitura “attestato di competenza”, da parte di qualche ente accreditato, la suddetta Regione ha emanato un documento ufficiale, che chiarisce in maniera inequivocabile la questione. Il succo è: l’attività del bartender è libera, ovvero non è legata ad albi professionali. L’attestato di competenza, dunque, significa che chi ha fatto quel tale corso, lo ha svolto in una struttura che rispetta un certo standard richiesto dalla Regione (tanto per fare un esempio, che le ore di corso siano quelle previste). Il barman appena formato che riceve quindi il suo attestato di competenza da un ente accreditato presso la Regione, non è né meglio né peggio di altri. Sicuramente non può porsi su un livello superiore in automatico, per il solo fatto di aver seguito lezioni in una struttura accreditata.

Ma torniamo al documento ufficiale, perché, come si diceva, ne vale davvero la pena. Si tratta di un documento redatto dal Comitato tecnico scientifico delle Dbn della Regione Lombardia. Per Dbn si intendono le discipline bio-naturali, ma il discorso è assolutamente estendibile a tutti gli enti di formazione accreditati e non, come si evince leggendolo con attenzione. Specifica, infatti, che non vale solo per le certificazioni di competenza rilasciate da Enti di formazione accreditati, ma si riferisce anche alle altre certificazioni rilasciate a vario titolo da Enti di Formazione non Accreditati o da Associazioni Professionali. Illuminante la lettura delle motivazioni che hanno spinto il Comitato a scriverlo e a pubblicarlo: “Troppo spesso termini come ‘Certificazione di Competenza’, ‘Attestato di Qualità’, ‘Diploma Professionale’, ‘Registro Nazionale Operatori’, ‘Attestazione di Qualificazione’, ‘Certificazione di Qualificazione Professionale’, ‘Ente o Professionista Accreditato’ ecc., vengono usati a sproposito o in maniera ambigua allo scopo di creare immagini e/o aspettative ingiustificate nell’utenza”.

Senza essere maliziosi, ma sembra un commento esaustivo fatto apposta al caso nostro.

corso barman riconosciuto
la speculazione delle scuole da barman

Ne sintetizziamo alcuni punti cruciali. Per esempio, al punto ‘f’ si sottolinea: “Non esistendo diplomi o certificati abilitanti per l’esercizio di attività libere come le Dbn, precisiamo che anche le certificazioni UNI, i cosiddettipatentini Coni’ e altre forme di attestazioni non hanno alcun valore abilitante poiché le discipline bio-naturali non sono regolamentate per legge”. Chiunque sia bene informato, è a conoscenza del fatto che la professione del barman è libera e rientra, per associazione, in quelle “attività libere come le Dbn” sopra citate.

Per sgombrare il campo dai dubbi, facciamolo dire alla Legge 4/2013 del 14 gennaio. Si tratta del testo contenente Disposizioni in materia di professioni non organizzate, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 26/01/2013, ovvero vigente da quella data. Come stabilisce la normativa in questione, “L’esercizio della professione è libero”, intendendo per professione quella non organizzata, come appunto quella del barman. Letto per intero il testo suona così: “L’esercizio della professione è libero e fondato sull’autonomia, sulle competenze e sull’indipendenza di giudizio”. Ecco ciò che di fatto è un barman. In quanto attività ‘libera’, può essere svolta da chiunque! A patto che si rispettino semplici norme fiscali, quelle di sicurezza sul lavoro, l’HACCP. Per questo fate attenzione se qualcuno vi propone corsi ‘abilitanti’, perché in questo caso sì, vi potrebbe truffare. Non servono patentini per shakerare un Daiquiri. Vi occorreranno, invece, a parte il rispetto delle normative igieniche e fiscali, un percorso di studi ad hoc, magari un Alberghiero, o la partecipazione a un corso (che non deve necessariamente essere “certificato”) perché questa è la maniera più sincera e corretta di affacciarsi al mondo del lavoro. Quindi, tanto olio di gomito, studio ed umiltà.

In un altro caso, e chiudiamo, i benedetti certificati hanno un valore legale. A specificarlo è l’art. 10 della Legge Regionale 6 agosto 2007, n. 19, della Lombardia. Il testo in questione così recita: “Le certificazioni hanno valore di attestato di idoneità o di abilitazione, qualora l’offerta formativa rispetti le specifiche norme per l’accesso e l’esercizio di una attività professionale, secondo le disposizioni legislative o amministrative di riferimento”. Quindi, visto e considerato che per la professione di barman non ci sono tali disposizioni, per i motivi che abbiamo elencato prima, i corsi di bartending non hanno obbligo di rilasciare attestati, se non nella forma di semplici riconoscimenti di fatto (non de iure). Poi, che qualcuno li usi per farsi pubblicità, ne ha tutto il diritto. Come noi il dovere di informarvi su come stanno realmente le cose. Happy mixing a tutti.

ISO-9001, cos’è

La certificazione ISO-9001 certifica, ovvero attesta il fatto che, una data struttura (società, scuola, azienda, ospedale, ecc.) rispetta una serie di norme che lei stessa si è data. E chi verifica questo rispetto? E’ un ente terzo, che periodicamente esegue il controllo. Si tratta di enti accreditati da Accredia, che in Italia è il soggetto giuridico autorizzato all’accreditamento. Sotto Accredia ci sono circa 170 enti che effettuano periodici controlli, durante i quali verificano che ciò che è stato scritto sul manuale della qualità (costruito dallo stesso soggetto interessato) sia rispettato. Quindi in sostanza l’ISO certifica la qualità, il fatto che una struttura rispetti sempre tutti i passaggi prestabiliti nel manuale, nel confezionare, per esempio, un prodotto.

Non è obbligatoria, ma si è diffusa anche perché viene richiesta spesso per la partecipazione a gare pubbliche. Applicata a una scuola di bartending, potrebbe certificare che i corsi rispettano sempre un certo standard e determinate caratteristiche (orario, attrezzature, ecc.). Se questo punto è chiaro, ecco allora svelato un errore di fondo quando leggiamo di corsi di bartending certificati ISO: la scuola ha una certificazione ISO, che è tenuta a rispettare. I giovani allievi che usciranno dalle sue aule certificate, però, avranno conseguito un corso che non può dirsi certificato, perché non vale, in questo caso, la proprietà transitiva. Dunque, perché spiattellarlo in prima pagina sul sito della scuola? Perché comunque potrebbe infondere un certo grado di fiducia, tutt’al più, ma, sia sempre chiaro, non potrà mai certificare una superiorità del prodotto. Il barman ‘ISO certificato’ non è meglio di quell’altro.

L’ISO costa?barman iso 9001

Certo che sì. Ecco le voci che compongono la cifra complessiva:

   – Costo dell’ente certificatore (certificazione e successivi mantenimenti)

   – Costo della consulenza

   – Costo del personale

Supponiamo il caso di una azienda che abbia un massimo di 10 dipendenti, il costo di certificazione sarà compreso tra i 1.300 e i 1.500 euro per l’ente che dovrà certificarla, cui si deve aggiungere il costo del mantenimento triennale (la durata dell’ISO), che oscilla tra i 2.500 e i 3.000 euro.

 Quello che non possiamo misurare è il costo della consulenza, perché è piuttosto vario. Il consulente è figura chiave, perché è colui cui ci si rivolge per preparare la stesura della documentazione necessaria all’ISO. Sempre meglio che perdere tempo e farsela in casa, col rischio di vedersi respingere la richiesta. E sempre il consulente si occuperà della formazione del personale, per il rispetto delle norme; offrirà il supporto nella scelta dell’ente certificatore (ce ne sono a centinaia).

Infine, c’è il costo del personale, che non sempre si considera. Consiste nel tempo sottratto al lavoro, dovendo seguire il corso di formazione. E c’è poi il tempo dedicato alla stesura della documentazione (di solito di concerto con il consulente, ma è pur sempre del tempo sottratto all’attività lavorativa). All’interno dell’azienda certificata ISO, dunque, qualcuno del personale sarà delegato a gestire il sistema di qualità, sarà bene informato su tutto; per tutti gli altri sarà sufficiente una formazione più basilare che illustri le procedure da rispettare.

Ma l’ISO è sicura?

Non sempre, i furbi girano anche qui: c’è tutto un sottobosco di documentazione venduta già fatta su cd, organismi di certificazione piuttosto elastici, gli stessi consulenti in doppia veste: si presentano come tali ma poi ricoprono il ruolo di auditor, passando al controllo del rispetto delle norme. Per non parlare di organismi che hanno ‘rapporti’ con consulenti, ecc. Quindi la qualità si può anche comprare…

Ora, visti i numeri di un’azienda intesa come scuola di formazione, realtà ben più piccola di molte altre aziende, che interesse reale può avere a spendere migliaia di euro in una ISO?

Probabilmente si sta facendo confusione e si è finiti col considerare la certificazione ISO un obiettivo quando, invece, sarebbe un mezzo per raggiungere il vero e unico obiettivo: la soddisfazione del cliente. E poi riflettiamoci: L’ISO è talmente diffusa nel mondo per cui dovremmo dire che siamo pieni di clienti soddisfatti. In Italia ci sono alcune società di calcio di serie minori ad avere l’ISO. Vi sembra che il tifo sia soddisfatto da quel pezzo di carta?

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